domenica 15 gennaio 2023

Jimu e 'ballamu a "Pana"!



Non so quanti di voi, cari amici, abbiano avuto modo di usare o di ascoltare il modo di dire:

 “sì, ora jimu e ballamu a pana!”: un’affermazione dal sapore canzonatorio per rispondere a coloro   che rappresentano un evento come se fosse una mirabilia.

Es:

-       Si maritau a figghja du sindacu! (affermazione)

-       Eh, ora jimu e ballamu a pana!   (risposta)

Diciamo che potrebbe essere accostato come senso del discorso all’intercalare romano “esticazzi!”

Sono stato sempre incuriosito e ho cercato di trovare a più riprese l’origine di questo modo di dire abbastanza raro e dimenticato e dopo aver spulciato nei vari testi con scarso risultato (nemmeno il Rolfhs ne riporta il termine) mi sono imbattuto nel termine PANAGIA di cui la Treccani riporta il significato in questi termini:

 

panàgia (o panàghia) agg. e s. f. [dal gr. παναγία, femm. di πανάγιος, comp. di παν- «pan-» e γιος «santo»]. – Tutta santa, santissima: è l’appellativo dato a Maria Vergine nella Chiesa ortodossa. Anche, l’immagine della Madonna, raffigurata in dipinti, in icone o in medaglioni.

 

Si può ipotizzare che l’origine del modo di dire possa essere riferito ai balli per la festa di “Madonna”, specie quelli tenuti a Reggio Calabria in occasione della Festa i “ Maronna” della Consolazione dove è d'uso ballare la tradizionale tarantella in Piazza del Duomo o in Piazza Italia e fuori dalla Chiesa dell'Eremo prima e dopo la Santa Messa notturna. Il mio è un azzardo, se qualcuno di voi avesse altri elementi per confermare o smentire questa ipotesi sarei felice di apprenderne le tesi. Al momento questa spiegazione mi appare la più verosimile.




 

martedì 10 gennaio 2023

"Se non sono gigli..."




 

Certo che dava all’occhio, indossava spesso pantaloni a “ciampa di elefante” camicia di jeans sbottonata fino allo sterno, con collana bene in vista, e si ammantava di un alone di “gagarino”. Capelli sul rossiccio e lentiggini in evidenza sul volto. Aria nordica da mezzo irlandese, ma di nordico aveva solo il vaglia che gli arrivava puntualmente da Londra. A inviarlo era la madre. La donna ci viveva da diversi anni nella terra di Albione ed era occupata come governante in un albergo. Gianni non aveva voluto seguirla, c’era stato qualche volta, a Londra, ma prediligeva il paese. Aveva preferito rimanere col nonno in una dimensione molto più discreta e paesana. Di tanto in tanto svolgeva lavoretti come “battilamera”, non una cosa continuativa. Si era approcciato al mestiere come ragazzo di bottega e riprendeva a lavorare quando c’erano dei picchi di lavoro. Non aveva la necessità di guadagnare dei danari per vivere; il nonno era pensionato e al resto ci pensava la mamma; del padre non si sapeva nulla; forse i suoi erano separati o forse gli era morto, non ne parlava mai. 

In paese era considerato dai più uno sfaccendato; lui ne era conscio, ma poco gli importava del pensiero dei benpensanti di maniera, né gli pesava sentirsi ai margini della socialità paesana. In un paese dove alla grande e alla piccola borghesia interessava poco sapere di coloro che per svariati motivi si erano trovati a camminare nel solco dell’anticonformismo, e Gianni quel sentiero l’aveva scelto e l’aveva fatto suo. Forse era anche una reazione per timidezza o paura di non sentirsi all’altezza del pensiero dominante. Diveniva stravagante nei modi di vestire e di vivere la sua piccola e abituale quotidianità.

A vent’anni si ha ancora tanto tempo per decidere cosa fare della propria vita e Gianni voleva avere ancora del tempo per decidere del suo futuro, nessuno gli correva dietro, neppure i bisogni.

Una notte fu svegliato si soprassalto e catapultato davanti alla scrivania del Commissario di Palmi: un testimone, che aveva assistito a un sequestro di persona, aveva indicato un ragazzo dai capelli rossicci e con lentiggini sul viso come uno dei sequestratori. 

I fatti: un ingegnere reggino mentre rientrava a casa in compagnia di due operai (un uomo e una donna) dopo una giornata di lavoro nel suo podere venne bloccato e prelevato dall’auto dove era alla guida da quattro individui col volto coperto da passamontagna. Durante la colluttazione l’uomo era riuscito a scoprire mezzo volto di uno dei sequestratori e la donna che era seduta nel sedile posteriore aveva notato che il giovane aveva i capelli rossicci e lentiggini sulle gote.

Gli inquirenti fecero in fretta a individuare in Gianni quel giovane con quelle caratteristiche fisiche.

A questo particolare si aggiunse l’alone di nullafacente che lo accompagnava da sempre, un combinato disposto deflagrante, per indurre gli inquirenti a pensare che uno dei sequestratori fosse il giovane rossino.

Il perbenismo paesano galoppò tronfio, vittorioso per aver sempre immaginato, e stavolta a ragion veduta, che quel ragazzo schivo, sui generis e vagabondo non poteva condurre una vita normale senza uno straccio di lavoro.

Furono anni tristi per lui, si era ritrovato chiuso in una cella a scontare anni di galera per una pena frutto di un processo che si doveva ancora celebrare. 

Riacquistò la libertà per decorrenza termini e perché nel frattempo gli inquirenti per altre vie erano arrivati a individuare i veri colpevoli del reato. 

Fu un giorno di agosto che ci trovammo seduti nello scalone della barberia di Turi, un pomeriggio assolato in un paese desolato; lui in compagnia della sua solitudine e io in attesa di riprendere il turno pomeridiano di lavoro. Ci trovammo a commentare la campagna acquisti del Milan, la fede calcistica ci accomunava e che negli ultimi tempi aveva smosso una simpatia reciproca.

Non fece fatica a raccontarmi la sua odissea, le vicende vissute e subite durante gli interrogatori e in carcere.

-Volevano a tutti i costi i nomi degli altri – mi disse abbassando lo sguardo – ma cosa potevo confessare se di quella storia non ne sapevo nulla-.

Il suo volto divenne sempre più serio e malinconico, si levò gli occhiali e mi indicò l’occhio destro:

-Lo vedi questo occhio? Ecco …fa solo scena, io non ci vedo più…-

Era stato un colpo maldestro di qualcuno che voleva estorcergli segreti inesistenti a causare la perdita della vista; e non erano stati sufficienti i suoi pianti mentre gridava la sua innocenza a fermare le mani di chi si sentiva certo di avere davanti a sé un malavitoso di comprovata pericolosità.

Mi disse pure che le sue costole avevano subito delle fratture e che il braccio sinistro aveva perso la normale mobilità per via delle botte subite. 

Mi rattristai, il suo racconto a cuore aperto mi aveva dato la possibilità di esplorare il suo mondo, di accedere nella sua sfera personale e scrutare gli eventi da un altro punto di vista. 

L’aria da guascone che lo aveva accompagnato nei tempi passati l’aveva abbandonato, aveva cercato di riprendere le trame ormai sparigliate della sua vita ed era tornato a rintanarsi nel suo cantuccio e senza “fanfarie” con l’intento di difendere la sua dignità. 

Dedussi che mi aveva narrato la sua storia non per sollecitare la mia compassione, non era il tipo, ma intuì invece che il suo sfogo fosse naturale e spontaneo ed era certo che io l’avrei accolto senza il condizionamento del pregiudizio. 

Fui amico suo insieme a pochi altri per il tempo che rimasi in paese. Poi andai via.

Dopo tanti anni, appresi la notizia della sua morte.

Si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato e un pallettone, solo uno, indirizzato a colui che era insieme a lui gli aveva fatto saltare il cuore. 

Che strana la vita, pensai: la prima disavventura l’ha vissuta per NON essere stato nel posto sbagliato al momento sbagliato, ora ha chiuso i suoi giorni per essersi trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

È la combinazione dei momenti a determinare le nostre scelte e i nostri percorsi, il problema è che spesso ignoriamo le combinazioni.

Ogni anno dei Morti mi fermo davanti alla sua tomba, si trova all’ultima “rasula” nell’angolo più remoto del cimitero, sembra quasi l’abbia scelto lui in linea per come aveva vissuto discreto e ai margini. 

 

“Se tu penserai e giudicherai
Da buon borghese
Li condannerai a cinquemila anni
Più le spese
Ma se capirai se li cercherai
Fino in fondo
Se non sono gigli son pur sempre figli
Vittime di questo mondo”

( De André)