giovedì 28 novembre 2019

Gallicianò



E' un piccolo azzardo, ho voluto dare una mia interpretazione a una poesia scritta e musicata dal poeta Ciccio Epifanio; la reputo un inno alla calabresità, alle radici magno greche della nostra terra. 
Un grazie a Ciccio per questi lampi di cultura, un grazie per la costante ricerca che conduce e per quanto ancora vorrà fare. 
Ad Maiora!


Gallicianò

S’apria la vaji avanti di lu mari
e l’acqua si calava hjumi hjumi
giustu la barca mia pe navigari, 
jizai la vila e mi jettai a li schiumi.

La vallata si apre agli occhi del poeta, è il letto della fiumara Amendolea  ai piedi di Gallicianò, è una giornata di pioggia e poeta immagina di farsi largo tra le acque navigando con la sua barca.  
La barca è la metafora usata dal poeta per dire della sua volontà di navigare e conoscere, e ne issa le vele alimentate dal vento (bramosia) dello scoprire e si tuffa tra le schiume della storia.
Ora la terra cca sapi parrari
di comu quantu e tutti li premuri
mi dissi 'nda nu sulu ragiunari,
l’opiri, li poeti e i sonaturi.

Giunge sul posto con l’aspettativa che la terra che sta per scoprire gli sappia raccontare (ragiunari) di lei stessa e che con premura gli dia lumi sulle opere dei poeti e artisti del mondo grecanico.
All’artu non si va sulu a volari
si cercunu penzeri e posaturi,
all’artu si posau Gallicianò
casi di petra burgu di pasturi.

Gallicianò si trova in una sommità di montagna; e il paese non è nato lì per caso (pensa l’autore) e sostiene che in alto non si va solo per volare fisicamente, ma immagina l’elevazione dello spirito per avvicinarsi sempre più al pensiero dei grandi filosofi.
A chist’artizza si dill’atru latu,
fora di testa e supa 'nta lu celu;
sutta li pedi 'ndai nu nivulatu
e 'ntornu ti cumbogghji cu nu velu.

Alla stessa altezza si è nell’altra dimensione, quella spirituale, e immagina un’estasi mentale che lo pone sopra le nuvole oltre il visibile ammantato di un velo di immaterialità.
Non sai poviru tia ch’è natru statu,
non si cchjù tu ma la to primavera
di nuju senzu ormai tu si patruni 
e a genti ti saluta “calimera”.

Non sai di trovarti in un’altra condizione, non sei più tu, stai vivendo una rinascita, (primavera) non sei più padrone dei sensi terreni e si parla un’altra lingua 
Simu a la Grecia antica di Platuni
e jeu cu l’unghji scavu chista terra,
pecchì pozzu trovari li ragiuni
e a chistu pettu meu spicciau la guerra.

“Approda” a Gallicianò, terra della Grecia Antica di Platone e con le unghie scava quella terra (ricerca, studia) per andare a scoprire sempre più le sue radici e solo facendo così può trovare le risposte, scavando nella storia, per trovare (scoppiau) la pace dell’anima (a chistu pettu)  .
E vinnimu a principiu di stagiuni
quandu a ricina voli fatta vinu
ddu vecchji poetati Calabrisi
comi li magi jiru a lu Bombinu.

Sono arrivati in due a Gallicianò nel periodo di vendemmia: Ciccio Epifanio e Totò Frisina, due vecchi poeti calabresi, l’autore usa la metafora dei Re Magi che andarono in adorazione da Gesù Bambino.
Cu veni mu si leji a lu passatu
trova la carni e li sustanzi puri,
li senzi, lu sangu e lu righjatu,
li signi lu linguaggiu e li figuri.
Chi si reca in quei luoghi per scoprire (leji) il passato trova certamente il vero senso dell’umano e l’esistenza pura (sustanza), trova il senso, la linfa e il respiro attraverso i segni, le immagini e la parola.
Di chista lingua mia cu tanti pisi
cercu radici vecchji e fundi assai,
paroli comu fa “scatasciarrisi”,
crastu, capuni, babbu e rrizzai.
Cerca le radici di della sua lingua per lui molto importante (pisi) visto che adora poetare in dialetto e ne trova riscontro in parecchi termini della lingua calabra.
Fummu a la porta fermi a scaliari,
comu chju chi vidi la chimera
e vinni i botta cu 'na vesta janca
nu Grecu Calabrisi d’i Nucera.
I due poeti si fermano davanti a una porta e sbirciano (scaliari) dentro con la meraviglia di colui che vede una chimera, quando all’improvviso è comparso un Greco-Calabrese (Mimmo Nocera, animatore e cicerone di quella piccola comunità grecanica)
E comu lu maestru non si stanca
di fari a li scolari la leziuni
girau cu nui li chjesi e lu triatu
e seppi mu ndi juma la passiuni.
Mimmo Nocera si è posto come un maestro per spiegare agli ospiti ogni angolo di quella comunità, dalla chiesa ortodossa al piccolo teatro greco, presenti a Gallicianò, e con i suoi racconti e con le sue spiegazioni ha alimentato la passione dei due amici.
Finiu la festa e u tempu fu fermatu
quandu lu cori ndi voliva ancora
“State Kalà” la Greca ha salutatu
E pe cu si ndi va” Stinga linora”
Finita l’escursione è finita la festa quando nei due poeti c’era ancora sete di sapere; e vivono la sensazione di sospensione della realtà come se il tempo si fosse fermato al tempo dei filosofi greci. E quando stanno per abbandonare quella condizione di estasi e altra dimensione dello spirito una signora anziana greca ha augurato a loro un buon rientro in lingua greca : andate in pace.

mercoledì 6 novembre 2019

Amarcord






I pomeriggi, di quell’autunno avanzato, tornavano noiosi; le sensazioni di entusiasmo si spendevano al mattino tra scuola e uscita. Poi la sosta al bar e le ultime note di una canzone da ascoltare fino alla partenza dell’ultimo pullman che portava via gli studenti di fuori paese.
“Ricominciare non è possibile ormai fra poco tu te ne andrai…” cantavano i Romans e c’era chi si ostinava a gettonare “Domani è un altro giorno”; la voce nasale di Ornella Vanoni, speranzosa nel testo, ma triste nella melodia, avvolgeva i pensieri di chi legava la sua inquietudine al colpo di clacson che avvisava la partenza del pullman.
Già, domani sarebbe stato un altro giorno, con i ritmi di sempre; tempi scanditi dalla campanella. E Ciccillo era preciso, non sgarrava di un minuto, la faceva vibrare seguendo il canovaccio di una scuola a volte ligia solo negli orari. Per tanti quel suono giungeva molto presto al mattino e troppo tardi all’ultima ora. Sembrava si vivesse per i ritagli di tempo che concedeva la campanella, e sui ritardi dei professori. Attimi rubati alle ore di lezione e vissuti con la voglia di ridurre le distanze con la ragazza che si era impadronita dei pensieri. Approcci banali e timidi, con la presunzione di fare apparire tutto come per caso. E così tutti i giorni.

All’altezza della Posta Ciccio si accese una sigaretta, giunse al bar ancora semideserto, si sedette in una delle due sedie accanto al juke box e continuò a fumare al riparo dal freddo e dagli occhi dei suoi. Dalla tasca dell’eskimo, abbottonato fino al collo, sbucavano fuori dei fogli arrotolati; il suo sguardo smarrito, e attento solo agli anelli di fumo che salivano dalla sua sigaretta, non camuffava il turbinio dei suoi pensieri. Davanti a lui, attaccata al banco della cassa del bar, una locandina, stilizzata a caricatura, mostrava la sagoma di una donna, dalle spalle fino al fondo schiena come se fosse un contrabasso, tra le braccia e lo sguardo godurioso di un uomo con il naso che spuntava più lungo dell’archetto.
“Domenica al Cinema Italia primo spettacolo ore 3,00” e ancora” Vietato ai minori di 14 anni”
Una didascalia a pennarello, usato da una mano incerta, annunciava luogo e orario dello spettacolo:
-IL MERLO MASCHIO- con Lando Buzzanca e Laura Antonelli.
 Non abbisognava precisare che “ore 3” era riferito al pomeriggio; i prevedibili spettatori, anche inferiore ai quattordici anni, sapevano già tutto e avrebbero atteso l’attimo in cui l’alto parlante puntato sulla piazza avrebbe diffuso le prime gracchiate del film che stava per iniziare.

Per Oppido era una prima visione, uno di quei film da proiettare solo di domenica; film di grido e di cassetta, anche se arrivava dopo tre anni dalla prima. 
Il vicolo che costeggiava il bar, dalla parte laterale opposta al corso, portava all’ingresso del Cinema Italia; all’angolo, sul muro del bar, Vicenzo aveva piazzato un altoparlante e sotto una bacheca in legno, con uno sportello che incorniciava una rete metallica, dove provvedeva ad attaccare i cartelloni dei film in programma. Solo di mercoledì, o quando trovava qualche pellicola particolare, si limitava a fissare un pezzo di carta con su scritto “mercoledì Film”, poi bastava il passaparola.
Messaggio criptico, ma nello stesso tempo chiaro, diretto ai giovanotti smaniosi di scoprire le immagini e le trame, quasi sempre scontate, di film in cui la facevano da padrone “caldose” fantasie e gole profonde. Erano linfa viva per le immaginazioni degli avventori ancora in erba e spesso rendevano molto agitate le visioni. Nuova frontiera di inconfessabili scoperte, in un paese dove tutto si mostrava compassato e senza sussulti; mondi nuovi che accendevano e alimentavano i pruriti giovanili, e Vicenzo conosceva bene le voglie dei giovani spettatori.

*

Peppe non tardò ad arrivare, si sedette accanto a Ciccio, e mentre la canzone “Un’altra volta chiudi la porta” consegnava l’ultimo ritornello alle orecchie disattente dei presenti, Peppe tirò fuori un foglio e si rivolse a Ciccio.
- Il giornale dovrà essere strutturato in questa maniera: una pagina la dovremmo dedicare al Liceo, notizie e curiosità sull’Istituto; dovremo ascoltare un po’ gli umori degli studenti e riportare sommariamente le considerazioni più interessanti. 
La seconda pagina la dedicherei alla politica locale; la terza pagina ai moti di Reggio di qualche anno fa, rimarcando l’impegno della sinistra contro la speculazione politica montata ad arte dalla destra dei “boia chi molla”. Poi vorrei che venisse dedicata una pagina al colpo di stato in Cile e chiuderei le ultime due pagine con delle lettere di partigiani condannati a morte, qualche poesia di Calamandrei e qualche pagina tratta dai “Quaderni dal carcere” di Gramsci - finì. 
Nino e Mario giunti da poco al bar si erano uniti alla combriccola, ascoltarono le parole di Peppe, e mentre lui esponeva il suo progetto si sentirono smarriti; erano tutti argomenti di cui sapevano poco o nulla. Avevano sentito parlare di “boia chi molla” e del colpo di stato di Pinochet avevano udito qualcosa alla radio o in televisione. Di Calamandrei e di Gramsci buio pesto. Temi improponibili per chi si svegliava al mattino solo col pensiero alle tre MS sfuse e alla compagna di liceo che aveva smosso e acceso nuovi fremiti e sussulti.