martedì 16 luglio 2019

Il cornuto e il fascismo ( aneddoto di Andrea Camilleri)











Estratto da un articolo di Marco Filloni (da Minima&Moralia)


Raul Radice, critico teatrale al Corriere della Sera, un gentiluomo milanese, vecchio stampo, aveva iniziato la sua carriera da giornalista durante il ventennio come redattore di un quotidiano fascista, L’Impero. La testata era diretta da due figure importanti del regime, Mario Carli e Emilio Settimelli. Mentre a ricoprire il ruolo di amministratore di tutte le pubblicazioni fasciste era Arnaldo Mussolini, fratello di Benito.
Ebbene, ricorda Camilleri, un giorno Arnaldo Mussolini chiese a Radice di accompagnarlo dal Duce per la relazione mensile sull’andamento delle pubblicazioni. Così entrano nello studio di Benito Mussolini, a Piazza Venezia, col giovanissimo Radice nel ruolo di portaborse e col cuore che gli batteva forte. Il Duce era chino sulla sua scrivania a scrivere, fitto fitto. Saluto romano di rito, poi il fratello si mise accanto a Benito, aprì la valigetta con tutti i documenti e glieli porse. Ma questi, prima ancora di scorgerli, esordì: «Arnaldo, da qualche tempo L’Impero mi sembra che abbia perduto mordente. Ma che succede?».
E il fratello rispose: «Sai, è una cosa molto delicata e pure sgradevole…»
«E cioè?»
«Beh, sai, la moglie di uno dei due va a letto con l’altro. E il marito l’ha scoperto. Quindi i due non si parlano più, e così sta andando tutto un po’ a rotoli».
Arnaldo non pronunciò nessun nome, non disse quale dei due era stato tradito.
Così Mussolini si chinò, pensoso, e dopo un lungo silenzio alzò lo sguardo, guardò dritto negli occhi il fratello e disse: 
«licenzia il cornuto!».
Ecco, in una sola frase, quella che per Andrea Camilleri è la vera essenza del fascismo.

martedì 9 luglio 2019

Franceschiell', ultimo Re




....se tuorn' !


L’orgoglio e il senso di appartenenza, spesso, non è materia commestibile per noi del Sud; la storia ci insegna che in passato alti personaggi furono attratti dal richiamo di chi aveva tutti gli interessi ad aggregare il Regno delle Due Sicilie al “nuovo” che avanzava. Corsi e ricorsi. Questi siamo.


Liborio Romano fu prefetto di Polizia di Napoli nominato dal re Francesco II di Borbone nel 1860, e nello stesso anno seguì la nomina di Ministro degli Interni.
Il quel momento storico tanto particolare, mentre Garibaldi risaliva la penisola con il suo esercito, Romano cominciò a pensare ai “cazzicielli” suoi e avviò contatti sia con Garibaldi che con Cavour per far sì che il passaggio dai Borbone ai Savoia avvenisse in maniera serena, e un pò comoda per lui.  Fu lo stesso Romano a convincere re Francesco II a lasciare Napoli, e a ritirarsi nel castello di Gaeta, senza porre resistenza ai Piemontesi per evitare battaglie e spargimento di sangue. Fu lo stesso Romano ad andare ad accogliere Garibaldi senza porre resistenza, anzi con festeggiamenti organizzati in luogo. Era il 7 settembre 1860; e il giorno prima re Francesco II, prima di partire per Gaeta, radunò per il saluto tutti i Ministri e funzionari e con la sua solita aria da strafottente disse a Don Liborio:
 - Don Libò, guardat’ o cuollo”, (bada alla tua testa) che se tuorn..! 
E in quel frangente volle ricordare il Ministro Michele Giacchi al quale aveva detto:

-  Voi sognate l’Italia e Vittorio Emanuele, ma non vi resteranno neanch’ ll’uocchie pe’ chiagnere.