Estratto da un articolo di Marco Filloni (da Minima&Moralia)
Raul Radice, critico teatrale al Corriere della Sera, un gentiluomo milanese, vecchio stampo, aveva iniziato la sua carriera da giornalista durante il ventennio come redattore di un quotidiano fascista, L’Impero. La testata era diretta da due figure importanti del regime, Mario Carli e Emilio Settimelli. Mentre a ricoprire il ruolo di amministratore di tutte le pubblicazioni fasciste era Arnaldo Mussolini, fratello di Benito.
Ebbene, ricorda Camilleri, un giorno Arnaldo Mussolini chiese a Radice di accompagnarlo dal Duce per la relazione mensile sull’andamento delle pubblicazioni. Così entrano nello studio di Benito Mussolini, a Piazza Venezia, col giovanissimo Radice nel ruolo di portaborse e col cuore che gli batteva forte. Il Duce era chino sulla sua scrivania a scrivere, fitto fitto. Saluto romano di rito, poi il fratello si mise accanto a Benito, aprì la valigetta con tutti i documenti e glieli porse. Ma questi, prima ancora di scorgerli, esordì: «Arnaldo, da qualche tempo L’Impero mi sembra che abbia perduto mordente. Ma che succede?».
E il fratello rispose: «Sai, è una cosa molto delicata e pure sgradevole…»
«E cioè?»
«Beh, sai, la moglie di uno dei due va a letto con l’altro. E il marito l’ha scoperto. Quindi i due non si parlano più, e così sta andando tutto un po’ a rotoli».
Arnaldo non pronunciò nessun nome, non disse quale dei due era stato tradito.
Così Mussolini si chinò, pensoso, e dopo un lungo silenzio alzò lo sguardo, guardò dritto negli occhi il fratello e disse:
«licenzia il cornuto!».
Ecco, in una sola frase, quella che per Andrea Camilleri è la vera essenza del fascismo.