mercoledì 6 novembre 2019

Amarcord






I pomeriggi, di quell’autunno avanzato, tornavano noiosi; le sensazioni di entusiasmo si spendevano al mattino tra scuola e uscita. Poi la sosta al bar e le ultime note di una canzone da ascoltare fino alla partenza dell’ultimo pullman che portava via gli studenti di fuori paese.
“Ricominciare non è possibile ormai fra poco tu te ne andrai…” cantavano i Romans e c’era chi si ostinava a gettonare “Domani è un altro giorno”; la voce nasale di Ornella Vanoni, speranzosa nel testo, ma triste nella melodia, avvolgeva i pensieri di chi legava la sua inquietudine al colpo di clacson che avvisava la partenza del pullman.
Già, domani sarebbe stato un altro giorno, con i ritmi di sempre; tempi scanditi dalla campanella. E Ciccillo era preciso, non sgarrava di un minuto, la faceva vibrare seguendo il canovaccio di una scuola a volte ligia solo negli orari. Per tanti quel suono giungeva molto presto al mattino e troppo tardi all’ultima ora. Sembrava si vivesse per i ritagli di tempo che concedeva la campanella, e sui ritardi dei professori. Attimi rubati alle ore di lezione e vissuti con la voglia di ridurre le distanze con la ragazza che si era impadronita dei pensieri. Approcci banali e timidi, con la presunzione di fare apparire tutto come per caso. E così tutti i giorni.

All’altezza della Posta Ciccio si accese una sigaretta, giunse al bar ancora semideserto, si sedette in una delle due sedie accanto al juke box e continuò a fumare al riparo dal freddo e dagli occhi dei suoi. Dalla tasca dell’eskimo, abbottonato fino al collo, sbucavano fuori dei fogli arrotolati; il suo sguardo smarrito, e attento solo agli anelli di fumo che salivano dalla sua sigaretta, non camuffava il turbinio dei suoi pensieri. Davanti a lui, attaccata al banco della cassa del bar, una locandina, stilizzata a caricatura, mostrava la sagoma di una donna, dalle spalle fino al fondo schiena come se fosse un contrabasso, tra le braccia e lo sguardo godurioso di un uomo con il naso che spuntava più lungo dell’archetto.
“Domenica al Cinema Italia primo spettacolo ore 3,00” e ancora” Vietato ai minori di 14 anni”
Una didascalia a pennarello, usato da una mano incerta, annunciava luogo e orario dello spettacolo:
-IL MERLO MASCHIO- con Lando Buzzanca e Laura Antonelli.
 Non abbisognava precisare che “ore 3” era riferito al pomeriggio; i prevedibili spettatori, anche inferiore ai quattordici anni, sapevano già tutto e avrebbero atteso l’attimo in cui l’alto parlante puntato sulla piazza avrebbe diffuso le prime gracchiate del film che stava per iniziare.

Per Oppido era una prima visione, uno di quei film da proiettare solo di domenica; film di grido e di cassetta, anche se arrivava dopo tre anni dalla prima. 
Il vicolo che costeggiava il bar, dalla parte laterale opposta al corso, portava all’ingresso del Cinema Italia; all’angolo, sul muro del bar, Vicenzo aveva piazzato un altoparlante e sotto una bacheca in legno, con uno sportello che incorniciava una rete metallica, dove provvedeva ad attaccare i cartelloni dei film in programma. Solo di mercoledì, o quando trovava qualche pellicola particolare, si limitava a fissare un pezzo di carta con su scritto “mercoledì Film”, poi bastava il passaparola.
Messaggio criptico, ma nello stesso tempo chiaro, diretto ai giovanotti smaniosi di scoprire le immagini e le trame, quasi sempre scontate, di film in cui la facevano da padrone “caldose” fantasie e gole profonde. Erano linfa viva per le immaginazioni degli avventori ancora in erba e spesso rendevano molto agitate le visioni. Nuova frontiera di inconfessabili scoperte, in un paese dove tutto si mostrava compassato e senza sussulti; mondi nuovi che accendevano e alimentavano i pruriti giovanili, e Vicenzo conosceva bene le voglie dei giovani spettatori.

*

Peppe non tardò ad arrivare, si sedette accanto a Ciccio, e mentre la canzone “Un’altra volta chiudi la porta” consegnava l’ultimo ritornello alle orecchie disattente dei presenti, Peppe tirò fuori un foglio e si rivolse a Ciccio.
- Il giornale dovrà essere strutturato in questa maniera: una pagina la dovremmo dedicare al Liceo, notizie e curiosità sull’Istituto; dovremo ascoltare un po’ gli umori degli studenti e riportare sommariamente le considerazioni più interessanti. 
La seconda pagina la dedicherei alla politica locale; la terza pagina ai moti di Reggio di qualche anno fa, rimarcando l’impegno della sinistra contro la speculazione politica montata ad arte dalla destra dei “boia chi molla”. Poi vorrei che venisse dedicata una pagina al colpo di stato in Cile e chiuderei le ultime due pagine con delle lettere di partigiani condannati a morte, qualche poesia di Calamandrei e qualche pagina tratta dai “Quaderni dal carcere” di Gramsci - finì. 
Nino e Mario giunti da poco al bar si erano uniti alla combriccola, ascoltarono le parole di Peppe, e mentre lui esponeva il suo progetto si sentirono smarriti; erano tutti argomenti di cui sapevano poco o nulla. Avevano sentito parlare di “boia chi molla” e del colpo di stato di Pinochet avevano udito qualcosa alla radio o in televisione. Di Calamandrei e di Gramsci buio pesto. Temi improponibili per chi si svegliava al mattino solo col pensiero alle tre MS sfuse e alla compagna di liceo che aveva smosso e acceso nuovi fremiti e sussulti. 

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