Don
Carmelo si era trasferito con tutta la famiglia, il Ministero della Giustizia
gli aveva assegnato, come sede di lavoro, la Pretura di Oppido e aveva lasciato,
così, Bagnara. Non era stato facile abbandonare le rive della Costa Viola; quel
mare superbo e sponda calabra di quello scorcio di mondo che da sempre porta in
grembo il mito della Fata Morgana, ma tanto era: doveva seguire il corso della
carriera e rimanere aggrappato a quel lavoro d’impiegato. Pane sicuro per lui, per
la moglie e per la nidiata di figli; ne contava nove, venuti al mondo in rapida
sequenza. Solo il tempo della sterilità naturale segnava il passo e la
differenza di età tra loro. Tutti maschi, tranne la penultima. Quando poteva, sgravava
la moglie dal baliamento e si portava con lui qualcuno dei pargoli, perlopiù
nelle ore vespertine, quando con altri amici si beava del tempo dell’ozio in
libera goliardia, seduto in Piazza grande ai tavoli del Bar Sella o in
Piazzetta sotto la magnolia o davanti al Bar Feis. Indole all’apparenza controllata,
mai una sgarbatezza, sempre cordiale e con un filo di sorriso disegnato sulle
labbra; tantoché quando parlava o raccontava qualche aneddoto, non compariva
chiaro se stesse, o meno, cugghjuniandu. Il tono amabile e l’eleganza delle narrazioni
lo rendevano sempre attendibile. Lui ne abusava e, spesso, si beffava di tutti.
Sì, tutti, non esisteva limitazione.
Il gusto
era proprio questo: un’occasione di coglionella non poteva essere sprecata per
eccesso di riguardo alla probabile vittima, era una condizione che sdegnava.
Quando c’era da beffeggiare era da fare e basta, senza remore e senza riguardi,
per nessuno.
L’aria
che si fiatava intorno a lui era, quindi, goliarda, carica di leggerezza e foriera
di carrette.
Così
i figli crescevano all’ombra delle sue goduriose trame; specie Mico e Benito, i
più presenti alle sue sortite di piazza, i due più grandi e i più scavezzacollo
dei nove. Anche loro, ormai, iniziavano a mostrare senza ritegno i tratti di burloni
e sulla scia di cotanto genitore non potevano palesarsi altrimenti; sicché,
quando capitava, non si tiravano indietro se nella rizza ci doveva finire anche
il padre.
Nei
loro tratti ereditari (s’intende in padre e figli) spiccava la voglia di vivere
quel sogghigno di traccia selvatica, come la iena che sa della sua vittima e
mostra i denti con la classica risata impietosa, volendo cogliere, nello
sguardo della stessa, l’effetto della carretta o della cugghjunella; provando, nello
stesso momento, il piacere di sbandierare la paternità della beffa.
Era
così Don Carmelo, crescevano così anche i suoi figli.
Don
Carmelo di tanto in tanto andava Bagnara; là, in quelle “costere, destri i suli
e mamme di zibibbo”, in quei terrazzi caldi come culle per viti e grappoli saturi
di tinta oro come solo settembre sa ritoccare, vivevano gli anziani genitori e
lui, sia per dovere filiale, sia per l’affetto che lo legava al paese, ci
tornava spesso.
Una
calda mattina di giugnettu, Don Carmelo, salì su l’autobus che portava a Gioia
Tauro e si sedette, accanto a un suo amico, nei due posti dietro l’autista; suo
figlio Mico invece si era subito messo all’opera ciondolando su e giù per il
corridoio del bus a ‘nzurtari a destra e manca quei pochi passeggeri, che come
loro, dovevano andare a Gioia Tauro.
Erano
passati più di venti giorni dall’ultima volta che si era recato a Bagnara, e quella
mattina aveva deciso di portare con sé il figlio. La scuola era finita da un
pezzo e lasciarlo, da spatagiacca, a zonzo per il paese sarebbe stato un
azzardo. Mico ormai non stava paru i nuja manera, era ‘nto sviluppu e attingeva
a piene mani da ciò che il padre, in quegli anni, gli aveva mostrato senza
lesinare: scherzi, burle e canzonature.
Dopo
mezz’ora di tornanti, discese e rettifili, dopo aver fatto scalo a Messignadi e
Varapodi, passando per Amato, il pullman si fermò davanti alla stazione di
Gioia, scesero tutti.
Don
Carmelo aveva chiacchierato per tutto il viaggio e si stava intrattenendo
ancora col suo amico; il treno locale per Reggio sarebbe passato dopo venti
minuti e c’era tutto il tempo per finire la chiacchiera e per bere anche un caffè. Si avviarono verso il Bar Stazione.
-
Due caffè – ordinò Don Carmelo
-Mico
! Vuoi i biscotti o le cingomme? – domandò ancora al figlio che già stava
smaniando dentro e fuori dalla porta del bar.
- Le
cingomme !– rispose Mico
Il
barman/proprietario del bar diede le cingomme a Mico e servì i due caffè con lo
stesso taglio di pigrizia con cui si era approcciato per dare il nome al suo
bar, e non si era spremuto tanto, vista la fantasia: “Bar Stazione”.
I
due amici stavano ancora sorseggiando quello che sembrava più un surrogato che
un caffè, quando Mico tirò per la giacca suo padre e disse:
-
Papà, per fare prima, dammi i soldi, vado a fare i biglietti!
A
Don Carmelo parve una cosa di buon senso, anche se arrivava dalla bocca di
Mico; lui avrebbe potuto continuare a scambiare le ultime chiacchiere con
l’amico mentre il figlio avrebbe fatto la fila in biglietteria.
Tiro
fuori dal portafoglio cinquecento lire e disse:
-
Fatti fare due biglietti per Bagnara, due costano trecento lire! Mi raccomando
non sbagliare a chiedere.
-
Papà, posso tenere il resto?- chiese Mico, con ammicco scaltro.
Don
Carmelo, preso ancora dal discorso col suo amico, con un cenno assentì più per
tacitarlo che per altro.
Mico
corse verso la biglietteria e sparì dietro un nugolo di persone intente a
scaricare bagagli.
Una
voce rauca lanciata dell’altoparlante annunciò:
“
Allontanarsi dal terzo binario è in arrivo il treno proveniente da Lamezia diretto
a Reggio Calabria, ferma a: Palmi, Bagnara, Villa San Giovanni “.
Era
un treno che arrivava dal Nord, a Lamezia una parte di carrozze veniva staccata,
con deviazione verso Roccella Jonica, le carrozze rimanenti diventavano treno
locale, della parte tirrenica, fino a Reggio Calabria.
Mico
sembrava fosse sparito, Don Carmelo con occhi lesti lo cercò in ogni dove, il
treno era ormai fermo e del figlio non si scorgeva nemmeno l’ombra. Raramente si
faceva cogliere dalla preoccupazione, ma in quel momento era preda di un forte
stato di agitazione; e poi, quel disgraziato aveva con sé anche i biglietti!
“Chi
testa di rovaci! “ imprecava sotto voce e incazzato. Si era già pentito di
esserselo portato dietro.
Mentre
meditava queste considerazioni, condite con qualche inenarrabile e strozzata
bestemmia, udì:
-
Papà ! Papà ! Urlò Mico, mentre, sorridendo, si sporgeva da un finestrino del
treno.
Lo vide,
lo folgorò con lo sguardo e si appressò a
salire anch’esso. Trovò posto e mentre si stava per accomodare, giunse
Mico.
-
Pezzo di ‘ndegno! Siedi qua ! – comandò Don Carmelo, più per scaricare
l’incazzatura che per altro. Mico sorrise, disattese, e se la svignò, sparendo
dietro la porta che separava l’altro vagone, col ghigno raggiante per aver
fatto prendere uno spaghetto al padre.
Le quattro
carrozze si mossero, venti minuti di corsa tra gallerie e affacci sul mare poi
terrazzamenti dei vigneti, quindi Bagnara.
Mico
era così e Don Carmelo lo conosceva bene, era un moto perpetuo, mai un attimo
di pacatezza, e lui glielo ripeteva sempre:
-
Mico! Tu quandu no ccatti pattiji! –
Già,
aveva sempre qualcosa da inventarsi, non stava paru i nuja manera.
Erano
appena andati via i primi dieci minuti di viaggio e Don Carmelo si era
rasserenato.
Mico
non si era ancora fatto vedere e suo padre, nonostante pensasse che fosse mosso
dall’artetica, lo riteneva capace di guardarsi dai mali pericoli. Con
benevolenza paterna accoglieva i suoi eccessi e molto spesso li benediva,
specie quando erano rivolti ad altri.
Don
Carmelo alzò gli occhi, la porta che separava i due vagoni si aprì, comparve
Mico, il volto meno sorridente del solito e alle spalle il controllore. I
passi, condizionati dall’andamento del treno, erano restii. Don Carmelo buttò
lo sguardo dal corridoio e incrociò quello di Mico, lui non fece accenno né
sorrise e quando fu a pochi passi da suo padre gli chiese ad alta voce:
-
Don Carmelo! Vidistivu a me patri !
Fu
in un attimo che capì che l’aveva combinata grossa, intuì che Mico non aveva
fatto i biglietti per tenersi i soldi. Solo chi conosce la natura del burlone è
in grado di individuare e annusare i suoi simili; e così Don Carmelo senza
scomporsi e senza perdere la calma bastante rispose:
-
Tuo padre? E’ avanti ! Avanti ! – facendo segno con la mano di scorrere, di
andare oltre, e quando fu vicino a lui, lo raggelò con gli occhi; Mico non si
scompose, fece un sottile sorriso e proseguì, seguito dal controllore, nella
ricerca di quel padre degenere, per farsi dare e punzonare quei biglietti che
lui non aveva comprato.
Infondo:
- Cu
simina spini non poti caminari a scaza!
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