domenica 5 marzo 2017

Oppidesi, piccole storie



La storia di Oppido passa anche attraverso molte figure che hanno segnato la memoria di tanti Oppidesi.
A tanti concittadini i personaggi che citerò non diranno nulla, a tanti altri faranno tornare in mente, se non il personaggio stesso, alcuni modi di dire.
Ho attinto tutte le informazioni dalla collana “QUADERNI  MAMERTINI ” n° 54  del Prof. Rocco Liberti edito da Litografia Diaco 2005.
Al professore Liberti rivolgo un ringraziamento per aver tenuto nella memoria di molti quei tratti paesani che altrimenti sarebbero andati nel dimenticatoio.
Nel rispetto della condizione dei personaggi che citerò, cercherò solo gli aspetti storici e di costume.

Personaggi:

U ‘ZZI LEU
Vestiva come un poveraccio, forse era la sua condizione, ma faceva il banditore, il suo nome era Leo Sagoleo ed era originario di Africo.
Abbiamo ereditato un modo di dire: MI PARI O ‘ZZI LEU come per dire: sei proprio messo male.
Muore a Oppido nel 1937.

STORTU I PINNERI ( m. 1906)
Era figlio del medico Matteo Pinneri, proveniva da Sinopoli, e viveva una condizione particolare.
Nel linguaggio comune di allora con “ Pari u stortu i Pinneri “ si indicava colui che stentava a rapportarsi con gli altri.

PETRU e PEPPI,
personaggi contemporanei con difficoltà. Alcuni giovinotti scapestrati li inducevano a litigare tra loro. Il primo sostava sempre in Piazza Mamerto, il secondo ( Pietro Nicotera) arrivava da Tresilico.

DON ALFONSINO ( 1879- 1936)
Don Alfonso Sposato, di famiglia benestante, perse le staffe dopo l’abbandono della moglie Rosaria Riccardo che aveva sposato nel 1905. Non tollerava le provocazioni quindi guai a insultarlo. Chiedeva come elemosina solo un “soldo”, ma diventava irascibile se qualcuno gliene porgeva due, poiché diceva di non voler essere considerato un pezzente. Riporto i passi di una canzone popolare che lui rivolgeva alla moglie lontana:

Ah! chi  m’amasti a fari, chi ‘m’hai focu
Sendu chi mi volivi abbandunari
Tu ti parivi ca l’amuri è giocu
L’amuri è focu e non si po’ stutari…


CICCIU SAVICA
Francesco Savica, di famiglia benestante, conduceva  le sue giornate fuori dagli schemi e spesso dormiva in giacigli di fortuna o all’aperto. Di animo buono, girava sempre scalzo, si rendeva servizievole con coloro che gli chiedevano commissioni per cui riceveva piccoli riconoscimenti in monete o altro.  Veniva apostrofato :  TRITTRU  O TRITTRU  SAVICA.
Muore nel 1944

GUSTINACCIO
Ha fatto per tanti anni lo spallone conducendo a piedi oltralpe chi intendeva emigrare senza documenti. Uomo possente, erano proverbiali le sue passeggiate oltre la frontiera.
Agostino Latorre fa la spola tra Francia e Italia, muore a Oppido nel 1962.

PEPPI  A  ’MMENDULA
Di condizione povera andava in giro per i vari paesi e contrade declamando la storia dell’”avanzamento”. Memorabile è la ballata che Ciccio Epifanio ha composto per ricordare la sua storia. Si sentiva in credito con la società di allora, e a modo suo declamava una sorta di “giustizia sociale”. Si dice che avesse perso un figlio in tenera età a causa di un pentolone di acqua bollente rovesciatasi addosso; si dice pure che scappasse alla vista di pentoloni.
Si chiamava Giuseppe Callea ( 1873-1961) e il soprannome  A ‘Mmendula gli era stato dato per le generalità della madre: Giovanna Amendola.

PEPPI ‘N DIU
Aveva l’abitudine di andare a dormire nelle nicchie del cimitero. A chi chiedeva cosa facesse rispondeva: CIUCI CACCIU E CIUCI MENTU ( croci tolgo e croci metto). Nelle nottate di freddo toglieva le croci di legno dalle tombe per accendere il fuoco e il giorno dopo si adoperava a farne altre per rimetterle dove le aveva levate.

RROCCU BARABBA
Banditore,  vittima anch’esso dello scherno di tanti ragazzi che lo insultavano con una cantilena: “Rrocchiceju u capu guardia, figghju du canonicu Guida, pallina i gazzosa etc.”
Lui rispondeva : “a pputtana di vostri mammi !”
Poi veniva consigliato di non incazzarsi, si convinceva e alle successive cantilene rispondeva ( ma solo per qualche minuto) : non m’incazzu ! t’issi ca non m’incazzu !
La calma durava poco e quando non ne poteva più ritornava a dotare le mamme di chi lo insultava.

NDREPPI
Altro personaggio oppidese, nell’uso comune dire “ pari a Ndreppi” significava essere messo molto male nel vestire.

U CAVAJU DU MASTRUZZU

Il Cavallo del “Mastruzzu” (mastrucolo, piccolo mastro , al secolo Francesco Tripodi, Oppido 1896 - Genova 1949) era una bestia piena di piaghe e portatore di tanti acciacchi .
Si dice che nei tragitti in cui nessuno vedeva il suo incedere, il cavallo arrancava con fatica e faceva pena solo a vederlo, ma non appena arrivava nei centri abitati il conducente ( U Mastruzzu) per via delle “virgate”  lo faceva apparire baldo e fiero.
Per cui il modo di dire “ Pari o cavaju du Mastruzzu" si confà a coloro che in presenza di altri si mostrano baldi e fieri e poi in privato palesano la loro debolezza.

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