lunedì 10 settembre 2018

Ah ch'è bellu u cafè!







Io ero tra coloro che portavano qualche libro a scuola,  Giorgio invece diceva:
– Che motivo c’è di portarli a casa quando il giorno dopo li devi ricaricare sotto braccio?
A suo modo aveva ragione e li lasciava lì sotto il banco. Mararosa lo sapeva e non li toccava. Faceva il Corso sia a scendere sia a salire a mani libere, fumando come un tabaccante incallito; era l’ultimo a entrare a scuola e il primo a uscire. 
Forse la struttura del Liceo non era il massimo dell’ospitalità: rassomigliava a un carcere e dava un forte senso di costrizione a buona parte di quella generazione di scavezzacollo. Il geometra nel progettare la struttura non si era spremuto più di tanto e l’aveva concepito in quel modo. Un quadrato, la maggior parte delle classi distribuite al primo piano e una balconata come le case di ringhiera cosicché era sufficiente che il Preside si mettesse al centro del piano terra per controllare tutto. Si usciva da scuola come se si venisse fuori dai lavori forzati e si sciamava su per il Corso. 
Io ero sempre con Giorgio e Ciccio e all’angolo di Caratozzolo ad aspettarci c’era Mimmo, apprendista muratore, “menza manicula” e fino a quel momento manovale. 
Si faceva un tre secco a bigliardino da Caciagna: partita rivincita e bella. La coppia perdente pagava il “coccotello” (cocktail San Pellegrino)) agli altri due. 
Non avevo obblighi di rientro a casa, i miei erano in campagna, nemmeno Ciccio ne aveva, lui sarebbe stato impegnato dalle tre in poi, in tipografia; Mimmo ‘mpajava da li a poco e Giorgio subito dopo il pranzo aveva l’impegno di aprire il bar di Alfredo, alle due. 
Si aveva il tempo di giungere a casa che già ci si ritrovava di nuovo in piazza, al bar. Giorgio arrivava già “ddubbatu”, apriva il bar e si passava subito al caffè, com’e genti boni. 
– Guardate che crema! - 
Diceva, mentre mostrava l’interno della tazza del suo caffè, osannando le sue presunte doti di barista. Si riteneva grandemente all’altezza del compito che gli aveva affidato Alfredo, suo zio. Esperto barista per un’ora al giorno: dalle due alle tre, poi arrivava sua zia Carmelina a dargli il cambio. Da quel momento scattava il “liberi” tutti, fino al giorno dopo. 
Fu in un pomeriggio di autunno inoltrato che congiuntamente a noi arrivò al bar, suppongo dalla vicina banca, un forestiero dai tratti eleganti e dall’ atteggiamento austero.
 – Buongiorno 
 – Salute - rispose Giorgio squadrando il soggetto con sufficienza come chi sa il fatto suo. 
– Un caffè …ristretto - ordinò con finezza e un mezzo sorriso. 
– Subito – non tardò Giorgio, e già svuotava con due colpi secchi la posa di un braccio a due beccucci dalla Cimbali a pressione. Dosò il caffè con la manopola del misuratore, pressò con la giusta forza per compattare il tutto agganciò il braccio e pressò la leva. Si girò verso il banco e incrociò l’incontenibile agitazione di Cicciareju, abituale cliente e giocatore incallito al Totocalcio, il quale con impazienza chiedeva notizie su un Bollettino che attestasse la vincita di un dodici, come mostrava ai quattro venti dalla “Figlia” in suo possesso.  
– Ciccio non è ancora arrivato il bollettino! Non ci “scorciuliari”! se dovesse arrivare ti sarà comunicato - precisò intollerante Giorgio, ma molto più garbato del solito forse per la presenza del forestiero. Furono poche battute, ma rubarono del tempo a Giorgio e allungarono la calata del caffè che aveva già colmato oltre metà tazzina. Giorgio lo levò di fretta da sotto il braccio e una goccia abbondante sporcò, colante, l’esterno della tazzina. Senza scomporsi prese lo straccetto e pulì con cura fino al bordo tazza. Il signore rimase immobile e guardingo, si gustò la scena e mentre buttava l’occhio dentro la tazza si pronunciò: 
– Avevo detto ristretto – Disse l’uomo marcando il tono e facendo intendere che non avrebbe mai fatto poggiare sulle sue labbra quella tazzina poco prima pulita da Giorgio con la spugnetta del lavello. 
– Non c’è problema !
Disse Giorgio con sicumera; prese la tazzina, la piegò nel lavandino e sotto gli occhi increduli dell’avventore fece colare metà del caffè contenuto. Pulì ancora la scia del caffè sulla tazza con lo straccio di prima e la posò sul piattino con un tocco del suo innato e proverbiale garbo. 
– Ecco! - disse con affannata soddisfazione. 
Il signore seguì tutti i passaggi e le “accortezze” usate da Giorgio, riguardò il caffè con mezza smorfia sulle labbra e con sommo distacco chiese: 
– Quanto pago?
 – Cento lire – rispose Giorgio. Tirò fuori cento lire dalla tasca le poggiò sul bancone e senza scomporsi si avviò verso l’uscio.
 – Il caffè non lo beve ? – chiese Giorgio sorpreso, come a chiedersi “che avrò mai combinato ?” 
– No, mi è bastato il profumo – disse con una punta di strafottenza e uscì. Giorgio guardò lui, poi noi che già eravamo sul punto di esplodere con la cugghjunella:
– Va capiscili a cert’uni, ti manda l’unda! 
– Certa genti non è giusta i ceraveju !

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